Il Bryndza è un formaggio di latte ovino a pasta molle e piuttosto sapido, ottenuto sbriciolando formaggi di pecora freschi o stagionati.
La sua origine va ricercata nelle tradizioni pastorali dei Valacchi, una popolazione proveniente dalla Romania che colonizzò i Carpazi slovacchi tra il XIV al XVII secolo. I Valacchi allevavano pecore e praticavano la transumanza, vivendo in alpeggio da aprile a novembre. La pecora per loro era tutto: forniva latte, carne, lana.
I pastori valacchi – detti pastieri o bačovia – chiamarono valaška (pecora valacca) anche una razza ovina locale: piccola, con le corna ritorte, la testa a forma di cuneo, il vello bianco, fitto e ruvido. Una pecora rustica, adatta al clima rigido e ai pendi spesso impervi dei Carpazi slovacchi, così frugale da nutrirsi in inverno di foglie e aghi di pino. La Valaška divide oggi i pascoli con un’altra razza locale molto resistente, la Cigája, riconoscibile per la testa di colore scuro e priva di corna.
La storia del Bryndza slovacco inizia nel 1787, quando Ján Vagač apre a Detva un caseificio. I pastori che vivevano nelle malghe (i salaš) vendevano a Vagač il formaggio di pecora. Questo formaggio veniva sbriciolato, reimpastato e riposto dentro barili di legno (i gelety) sigillati con uno strato di burro. In questo modo si conservava a lungo e poteva essere commercializzato nelle città dell’impero austro-ungarico: Vienna, Bratislava, Budapest…
All’inizio del ’900, quando si contavano un’ottantina di impianti produttivi in tutta la Slovacchia, Teodor Wallo affinò il metodo produttivo e rese il Bryndza cremoso, spalmabile, diverso da tutti gli altri Bryndza – più asciutti e granulosi – prodotti in Romania, Ucraina, Moldavia, Polonia. Il segreto era l’aggiunta di una soluzione di acqua e sale all’impasto. Ma non solo, come citato già nel Codex Alimentarius Austriacus (1917), questo formaggio presentava una flora batterica ricca e unica, un insieme di lactobacilli che il ricercatore che la individuò definì “Karpathenokokkus”, presente ancora oggi nei Bryndza prodotti sui pascoli dei Carpazi slovacchi. In poche parole: un probiotico naturale.
Nel dopoguerra, la collettivizzazione dell’agricoltura assegnò a grandi cooperative agricole le proprietà terriere, le greggi, i laboratori di produzione. Si interruppe così una secolare trasmissione di saperi. Molti pastori diventarono operai e il formaggio iniziò a essere lavorato in impianti di dimensioni più importanti. Nel 1989 il sistema crollò, lasciando dietro di sé una serie di danni: grandi impianti che necessitavano ristrutturazioni costose, omologazione della produzione alimentare, perdita di saperi artigianali e di prodotti tradizionali, abbandono delle campagne.
Il Bryndza si produce caseificando un primo formaggio di latte ovino crudo e ponendo la massa a sgrondare in un telo di cotone, dove fermenta una settimana. Al termine si preleva la forma di circa un paio di chilogrammi, si priva della buccia esterna e la si taglia in pezzi grossolani, che sono posti in un mixer insieme al sale o a una soluzione salina e impastati per alcuni minuti.
La crema che si ottiene, dal sapore delicato e piacevolmente acidulo, si consuma fresca ma è anche cucinata in varie ricette tradizionali, tra le quali i famosi gnocchi di patate e farina (Bryndzové halušky ), conditi con bryndza fuso, i Bryndzové pirohy (ravioli ripieni di Bryndza), la zuppa Demikát (con patate e Bryndza) oppure lo šmirkas (una miscela spalmabile di Bryndza con paprika e cipollotti).